Vedete la differenza? Vedete davvero la differenza? Tra un viso e un altro? Tra il mio corpo coperto da maschere, occhiali, guanti, camice e un altro? Probabilmente no. Probabilmente solo dopo aver guardato attentamente i miei occhi. Gli altri occhi. Perché tutti gli occhi che incontrerai qui in corsia diranno la stessa cosa: aiuto. Siamo qui per voi, malati, e oggi siamo davvero tantissimi in turno, tanti che quasi manco ci conosciamo tutti. Eppure … abbiamo paura. Paura di voi, che siete così nuovi e delicati per noi che veniamo ognuno dalle proprie esperienze talvolta anche pluriennali … e così cresce l’ansia di non essere all’altezza, di non sapervi gestire, di non potervi salvare, voi che a volte siete attaccati alla vita con un filo di respiro che sembra spezzarsi da un momento all’altro.

È da qui a ciò che sappiamo delle trincee è un attimo: sofferenza ovunque ti giri, rumori continui di monitor che sbippano per avvertirti di qualcosa, fischi incessanti dalle pareti dell’ossigeno che vi raggiunge in quei caschi claustrofobici, respiri affannosi e pesanti, campanelli che suonano, corpi che si agitano nei letti o al contrario che non si muovono più … ma fanno comunque rumore dentro di te. E poi i tremori da dentro di me, si, è il mio cuore, che non sopporta più tutto questo.. ma lo deve fare a costo di non dormire la notte e di avere tutto questo come pensiero fisso. Di giorno e di notte. Anche se mi sento persa in una realtà surreale che ogni giorno regala ansie, paure, pianti e silenzi. Mi sento una pazza, do lo colpa alla mia estrema emotività che ogni giorno mi fa ripensare a quella normalità che tanto disprezzavamo perché troppo normale e a cui ora ambiamo con trepidazione.


You see the difference?
Do you really see the difference? Between one face and another? Between my body covered in mask, glasses, gloves, gown and other things? Probably not. Probably only after looking closely at my eyes. The other eyes. Because all the eyes you’ll meet here on the ward will say the same thing: help. We are here for you, sick people, and today there are so many of us on duty, so many that we almost don’t even know each other. And yet … we’re afraid. Fear of you, who are so new and fragile for us from our own experiences, even many years of experience … and so grows the anxiety of not being up to the task, of not knowing how to manage you, of not being able to save you, you who are sometimes attached to life with a thread of breath that seems to break at any moment. From here to what we know about the trenches is a moment: suffering everywhere you turn, continuous noises of monitors that bleep to warn you of something, incessant whistles from the walls of the oxygen that reaches you in those claustrophobic helmets, breathless and heavy breaths, bells ringing, bodies shaking in beds or on the contrary that no longer move … but still make noises inside you. And then the tremors from inside me, yes, it’s my heart that can’t stand all this anymore … but it has to do it at the cost of not sleeping at night and having all this as a permanent thought. Day and night. Even if I feel lost in a surreal reality that every day gives anxiety, fear, tears and silence. I feel like a madwoman, I blame my extreme emotionality that every day makes me think back to that normality that we despised so much because it was too normal and to which we now aspire with trepidation.